martedì 16 dicembre 2014

One year has passed (part 2)

Questo video l'ho girato sull'Himalaya dopo una lunga camminata in quota, 4600 metri partendo da Manang (3500m). Ero sfinito, ero da solo e le montagne intorno erano 100 volte più belle di qualsiasi video avessi potuto girare.
Ho tirato fuori il cellulare ed ho parlato. Perchè ci abbia messo più di un anno a tirare fuori questo video non lo so...forse perchè è difficilissimo per me tirare fuori le emozioni, mi sento (e sono) goffo, di parlare troppo e di dire un decimo di quello che vorrei. Questo video è stato fatto come se parlassi ai miei genitori in un tentativo di far sentire quello che sentivo io...ma non avevo modo di mandarglielo.
Sì, sembro folle e ridicolo, mi vergogno a guardarmi che sembro scemo, non avevo idea di cosa dire...ma ci sono cose che fanno tirare fuori tutto come viene. Essere da solo in quel posto è stato una specie di crisi mistica.
E' un buon riassunto di quello che sarebbe potuto essere il post precedente un anno e due mesi fa.


Hey, io ci ho provato a ruotarlo 'sto video, ma non si riesce a caricarlo dritto...prima o poi ci riuscirò, per adesso o girate la testa come i pappagalli o mettete lo schermo per traverso. 
Torniamo tecnotrogloditi, alle volte fa quasi bene...

Ciao!

PS:ringrazio la persona che mi ha spinto a postarlo ;)

martedì 9 dicembre 2014

One year has passed (since I wrote my note/ I should have known it right from the start)



(non appena avrò una connessione decente aggiungerò foto al post, come faccio sempre...)

Questo post avrei dovuto inserirlo giorni fa…il 29 novembre, per la precisione. Due anni dalla partenza ed un anno dal ritorno dal viaggio. Ma la verità è che quel giorno ho fatto di tutto per evitare di pensarci. Le mie giornate nella settimana precedente sono state un continuo rincorrere le attività mentali per tener lontani i pensieri. Conosco molte persone che a Dicembre con la fine dell’anno fanno un bilancio, per me sarebbe stato inevitabilmente lo stesso…LO E’ stato…alla fine i bilanci finiamo per farli anche se non vogliamo.

Quando incontravo la gente in viaggio e gli parlavo della mia scelta di mollare le certezze che avevo costruito la domanda che mi veniva fatta più spesso era: ne è valsa la pena?

Istintivamente avrei risposto di sì ad occhi chiusi, ma il lato razionale di me mi portava verso la prudenza: avrei fatto le mie valutazioni un anno dopo, perché in viaggio è facile essere entusiasti, ma una volta tornati dover affrontare lo stress non è facile. Lo stress di cambiare ritmo di vita, le giornate ed i posti comunque sempre uguali, non conoscere gente nuova ogni giorno, non avere sfide nuove…e soprattutto lo stress di ricominciare la vita. Cercare un lavoro per mesi, trovarlo e magari cambiarlo, passare mesi 8 ore al giorno su linkedin, monster ed affini senza ricevere risposte, alla fine trovare qualcosa, studiare cose nuove per diventare presto produttivo, chiedersi se sia il caso di trasferirsi lontano o “più lontano”, perdere le persone perché si fanno scelte che ci portano lontano…o “più lontano”.
Ovviamente l'anno di viaggio è stato fantastico. Ho imparato una lingua nuova, ho fatto cose che non avrei mai pensato di fare e conosciuto gente che non avrei mai sognato esistesse. Ho visto posti che mi hanno fatto venir fame di vederne altri e sfidato me stesso ogni giorno fino a diventare "dipendente" dal mettermi in discussione ad ogni sfida. Sono sempre io, quello di tre anni fa, ma ho meno paura di rischiare, forse. Resto sempre uno che prima di saltare da una scogliera nel mare controlla che non ci siano sassi sotto, ma a differenza di prima non resto paralizzato.

Come sto un anno dopo? Non lo so davvero come sto…ma posso scrivere dove sono stato durante l’anno e dove sono adesso...almeno per certi argomenti.

Da Febbraio ad Aprile ho lavorato a Como per una start up, ma non poteva durare…è stata una bella esperienza ma tanti saluti e grazie. Nel frattempo però ho messo da parte i soldi per comprare la mia prima moto e non avete idea di quanto ci tenessi, di quanto fosse importante per me. Mio padre col primo stipendio comprò una moto…era una macchina di morte, ci fece sì e no 500km e due incidenti nei primi 50, poi l’ha lasciata sbriciolarsi nella ruggine nei 30 anni successivi…ma aveva un senso! Io invece la moto la amo ed il senso è completamente diverso…

Da Aprile a Giugno ho cercato lavoro…ed ho finito per trovarlo e per trasferirmi. Vivo a Mirandola dove faccio “quello dei materiali” in un’azienda biomedicale ma l’impegno principale è essere project manager per una azienda controllata che ha sede in Valtellina. Ho conosciuto persone nuove alcune delle quali mi sorprendono ogni giorno. Ho portato il progetto in Commissione Europea a Bruxelles ed anche se io ero solo una delle 50 tessere del puzzle la cosa mi ha emozionato.

Ho cominciato a fare il turnista (turnamico, in realtà) per portare in giro il disco del mio amico Batti, quello che ha fatto uscire proprio nel giorno del mio ritorno dal viaggio, scelta che mi ha lasciato senza fiato, ed ora sono in un gruppo che pur tra problemi di tempo ed impegni è un gruppo che adoro. La sala prove è una fucina della demenza e sono persone vere e mature…La musica per me è sempre stata importantissima ed anche se un anno senza toccare un basso ha compromesso il mio livello come musicista (addio muscolatura, flessibilità dei tendini e velocità, ben tornate tendiniti e crampi) la mancanza del suonare è stata una delle più difficili da tenere a bada. Ho *bisogno* della musica suonata.

Poi Viv…beh, non siamo tornati a vivere insieme e lei la settimana che mi sono trasferito a Mirandola è andata a vivere in Svezia. Il suo sogno fin da adolescente, non posso che essere felice per lei…ed ancora oggi il legame che ci unisce è grande, vado a trovarla ogni tanto, parliamo di viaggi e posti sempre più difficili da visitare. In realtà lei è la parte di cui mi è più difficile parlare...

Ci sarebbero altre mille cose da dire, ma interessa forse a qualcuno? Sarebbe solo un altro elenco di fatti miei per prendere tempo...Non sarò mai del tutto soddisfatto di dove sono, avrò sempre fame di mondo e di esperienze, di gente sincera e di novità.

La domanda era: ne è valsa la pena?

La risposta è una sola, per me

HELL, YEAH!

“…Time passed, and one day he returned, with a vision.
Once he talked to the first stranger he met
it was clear that in his absence nothing had changed,
but him…”

lunedì 8 dicembre 2014

Souvenir dal Vietnam: cicatrici e cacca di faina


Continuo la serie di racconti legati ai souvenirs

Capita che alcuni dei souvenirs ce li portiamo a spasso per il mondo anche dopo la fine del viaggio. Tra queste le cicatrici.
Come diceva Tyler Durden? "Fanculo, non voglio morire senza cicatrici addoso"
Beh, io di cicatrice qualcuna ce l'ho. Una piccolina sul polso per aver rotto con una manata un uovo di zucchero, una scheggia si infilò nella pelle, la sentivo sotto la crosticina ma non dissi nula perchè ad otto anni si ha già imparato che quando si fanno le cazzate è meglio tenere la bocca chiusa...
Quella sul ginocchio destro per un tubo di ferro, quella di fianco all'occhio per essere passato dietro mia madre che passava lo straccio per i pavimenti (preso la legnata al volo in faccia), quelle sulla mano sinistra su cui ho versato un paio di litri di silicone fuso a lavoro. Ognuna mi ha insegnato una lezione...che io l'abbia o meno recepita questo è un altro discorso.

La parte del corpo più piena di cicatrici però è il ginocchio destro, e non solo per un intervento di artroscopia a 18 anni, ma per una bella caduta in moto in VietNam.

Nel centro del paese c'è una comunità di chopperisti che si fanno chiamare Easy Riders. Sono dei tassisti motorizzati, portano i turisti da un lato all'altro del paese in moto con le valigie. Come per ogni altra cosa in Viet Nam ne esistono almeno due o tre imitazioni, una peggio dell'altra e gli Easy riders non facevano eccezione.(ci sono anche imitazioni delle donne...brrrr).
Mi trovavo a Hue, intenzionato a non fare più un solo chilometro in treno in quella parte di mondo. I treni Vietnamiti sono sempre in orario, va detto per onestà. Ma al posto dei letti hanno panche di legno, partono sempre alla sera ed arrivano alle 5 del mattino, ora in cui ci si sveglia in praticamente tutta l'Asia. Questo significa sempre arrivare almeno 6 ore prima che sia possibile farsi dare una stanza in un albergo/pensione/ostello, quindi stare in giro mezza giornata rincoglioniti dal viaggio e dalla levataccia a perder tempo.
Togliete l'argento e metteteci l'oro...detto tutto
Per questo cerco per la città un chopperista e quando lo trovo gli do fastidio finchè non mi trova qualcuno disposto ad affittarmi la sua moto. Eh, sì, io in moto non mi ci faccio portare, ho sudato la mia patente internazionale prima della partenza e godo sempre nell'esibirla con gesto arioso e solenne ad ogni posto di blocco. Sono stato fermato OVUNQUE: Cile, dopo 200 metri fuori dal vialetto. Indonesia: unico fermato tra 500 altri ragazzi in scooter durante la megabigiata di fine anno di tutte le scuole di Mataram.
Filippine, a bordo di una Honda shadow dorata da pappone, mi è toccato corrompere il poliziotto...corrompere...ci siamo accordati per una riduzione dell'ammenda pecuniaria, suvvia...era notte fonda ed io avevo fretta.

Trovo il signor Cuòng, l'uomo più piccolo che abbia mai visto, a parte i pigmei in Africa! Mi presterà la sua moto, ma solo se gli dimostro di saper guidare. Ed è così che mi trovo su una moto con la sella a mezzo metro da terra ed il cambio sottosopra a guidare in ciabatte per le strade della vecchia capitale. Senza casco, ovviamente. Test passato, ci troveremo tra una settimana a Hoi An, poco più a sud, perchè prima lui ha da fare una "consegna" (una turista americana che deve arrivare a Na Thrang, l'Ibiza del mar della Cina meridionale, famosa per le feste in spiaggia e per la diffusione di droghe che cancellano la memoria ed i soldi nel portafogli dei turisti in 15 minuti).

Noi d'altro canto abbiamo da incontrare Andrès ed Edurne, fare un'immersione nelle nebbie (l'immersione più inutile della mia vita, visibilità di un metro su un fondale di sabbia...che odio buttare i soldi!) e fare compere nel quartiere dei sarti più famoso del paese, quindi non ci sono grossi problemi.
Così una mattina di una settimana dopo carichiamo le moto e partiamo sotto lo sguardo divertito dello staff dell'albergo. S^, anche in mezzo ad un viaggio da saccopelisti qualche albergo ci scappa. Contrariamente agli altri ospiti però noi siamo vestiti da trekking, non abbiamo autista nè guida e di sicuro non siamo vestiti da minchioni in vacanza in Florida. Ma per risparmiare 10 euro non vale la pena di prendere le piattole in ostello in quella parte del mondo.

La partenza è comica, la moto è carica in modo grottesco, in pieno stile sudest asiatico, ovvero non è possibile pensare di aggiungere nemmeno uno spillo: la parola d'ordine è:se si capisce ancora che è una moto vuol dire che c'è ancora spazio per qualcosa o qualcuno.

Miriamo verso l'interno, verso le montagne ed il famoso sentiero di Ho Chi Minh, la strada che correva nascosta tra le piantagioni di caffè e le cascate lungo il confine col Laos, là dove gli Americani nonpotevano vedere i convogli di armi e provviste trasportate in bicicletta nella foresta.
Abbandoniamo dopo qualche ora le risaie ed i traghettamenti dei canali ed arriviamo ai piedi delle montagne dove ci fermiamo per la notte. Cuong ci sta mostrando il VietNam più vero, nel bene e nel male. E' odioso, non regge l'alcool, è politicamente scorretto e gretto in maniera macchiettistica. Basta una birra e ci racconta con voce sguaiata barzellette in cui le minoranze etniche fanno vengono dipinte come esseri poco superiori agli animali, mimando in mezzo al ristorante sonori amplessi con capre, monaci e ragazzine perverse. Ci dice che i vietnamiti vogliono solo i soldi, che conta solo quello...quindi stramazza dalla sedia e ci rimanda alla mattina successiva.
Cuong mi insegnaa mangiare uno strano Ban Xeo
Ma Cuong non era che un uomo esasperato che nascondeva la sua sensibilità sotto una veste irritante. Ho davvero visto uno scorcio del suo paese e del suo popolo grazie a lui e col tempo ho dato la giusta dimensione a ciò che tiene gli stranieri a distanza dall'essenza di quei luoghi.

Giorno due, le montagne! dopo quattro ore di salita è ilmomento della discesa! la moto si lascia guidare con le pedane, è leggera e non importa che non abbia motore, mi diverto come un matto a soli 60km all'ora tra paesaggi stupendi.
 Un cantiere non segnalato dietro una curva in discesa, abbandonato da giorni con la strada sventrata. Non è il primo che attraverso nè il più difficile, ma la moto non sta dritta e posso solo tenerla finchè non si ferma e fare in modo che non mi cada su una gamba, è talmente carica che è impossimile saltar giù e rimanere in piedi. Prima di capire se sono tutto intero mi giro per vedere se Viv sta bene,terrorizzato, ma mi pare che non abbia niente di rotto. E' stata sbalzata quindi non è rimasta sotto la moto. SOno confuso e mentalmente esamino la situazione.
Poco prima della caduta
Oggi molte parti della strada di HoChiMinh sono asfaltate...molte no.  Ed è proprio su una di queste che rovinosamente sono caduto, tradito da un sasso e da una grossa buca piena di schegge di pietra affilate. Ne tolgo 4 dal ginocchio che si gonfia a vista d'occhio, ho i pantaloni strappati ed insanguinati, l'avambraccio ha decine di tagli e graffi, la mano...la mano è coperta di sangue e piccoli sassi. Viv grida imprecazioni in antico nordico (filologia germanica ed islandese sono corsi utili certe volte) mentre si disinfetta le ferite con il GEL LAVAMANI!!!
 Sappiamo che si può fare, conosco tutti gli ingredienti, ma questo non significa che non bruci come alcool denaturato, quello rosso che mio nonno mi spruzzava sulle ferite quando cadevo in bicicletta...una specie di tortura, io e mio fratello ne eravamo terrorizzati.
Io tolgo i sassi dalle ferite sulla mano nel bagno di una pompa di benzina abbandonata. Il palmo non ha quasi più pelle ed abbiamo un kit di pronto soccorso minuscolo. Siamo in mezzo alle montagne a due giorni dall'ospedale più vicino. L'unica cosa che posso fare è cercare un villaggio in cui vendano tintura di iodio, garze sterili e bende.
Questa caduta ha trasformato il resto del viaggio in una specie di corsa alla sopravvivenza. Il mio ginocchio era sempre più gonfio, la pioggia rendeva guidare ancora più difficile perchè la fasciatura sulla mano si inzuppava così come le scarpe e con 30°C sotto le tute di plastica si suda che tanto vale prendersi tutta l'acqua. Ogni volta che c'era un pezzo di sterrato ci veniva da piangere per la paura di cadere ancora, eravamo psicologicamente sfiniti. Arriviamo a DaLat che quasi baciamo terra...
5 giorni...otto ore al giorno...1200 chilometri, buca più, buca meno. Media di...35km/h? forse 40? Abbiamo mangiato dove al posto delle aragoste nell'acquario si scelgono le tartarughe, ci hanno chiesto di posare davanti ai carri armati americani in un monumento alla guerra (ho fatto presente che noi non eravamo americani, ma mi è stato risposto che importava poco, sarebbero stati lieti di mentire...) e dormito in un paio di posti da camionisti.

Ora riguardo quelle cicatrici sul ginocchio e penso che almeno una cosa per me l'hanno fatta.Mi hanno dato una sorta di battesimo. Si dice che non sei un vero motociclista finchè non baci l'asfalto. Beh, non è un cazzo di rito iniziatico di cui porti una cicatrice come prova, è il segno che ti lascia dentro. Il superare al paura di rimetterti sulla moto ed imparare a rispettare il pericolo, perchè basta un momento di disattenzione e l'esperienza che ti manca pesa come la pietra al collo di uno che nuota in un fiume profondo.


Mentre aspetto il mio Weasel coffe ad Hanoi
E la cacca di faina? certo, dimenticavo. Esiste in Viet Nam il miglior caffè del mondo, vince premi a ripetizione ed ha il più alto costo all'etto nel mondo. A renderlo particolare è il fatto che ci siano mustelidi allevati perchè mangino i frutti nelle piantagioni di caffè. I succhi gastrici non digeriscono il seme che viene deietto così com'è, ma il trattamento enzimatico nell'intestino libera la vera aroma. Basta raccoglierlo, lavarlo (bene!!!), tostarlo e tritarlo.
Buonissimo...basta non pensarci
Tra le risaie con una LiFang




Un ponte nelle vicinanze di Hue





Ed ora ci dovremmo pure salire in due?!?

giovedì 30 ottobre 2014

Souvenirs

Ogni posto che visitiamo ci lascia qualcosa, un oggetto, un segno che racchiude un ricordo. Magari non rappresentano l'intera esperienza, o il momento più bello, ma sono come dei piccoli aneddoti.

Inizierò dai paesi toccati nel mio Viaggio, quello con la maiucola, perchè per la sua stessa natura è statomolto difficile portare dei souvenirs a casa. Questo forse è un altro elemento che distingue il viaggiare dal fare turismo, i souvenirs.
Viaggiare con lo spazio di uno zaino ed un limite di peso da potersi portare addosso è qualcosa di simile al vagabondare lontano dai comfort della civiltà occidentale moderna. Si fanno scelte, ed ogni piccolo pezzo che portiamo, ogni grammo, ogni centimetro cubo scegliamo consapevolmente di portarlo con noi, per questo diventa importante, diventa un compagno di ciaggio, come Wilson per Tom Hanks in Castaway.
Non sono solo oggetti oricordi, in parte sono abitudini che forse mi porterò dietro per tutta la vita.
Ed è porprio da un'abitudine che voglio cominciare


Argentina: Yerba mate
Yerba= erba in spagnolo
Mate= zucca in linguaggio nativo del sudamerica, manon chiedetemi quale, esiste wikipedia apposta.

La yerba mate è un arbusto con foglie lanceolate ogivali molto somiglianti a quelle della pianta di coca con cui non ha tuttavia alcun legame botanico. Le foglie ed i rami più teneri vengono seccati e lavorati per ottenere qualcosa di simile al the da mettere in infusione. Sebbene esistano oggi delle bustine (mate cocìdo) la procedura tradizionale prevede che l'erba venga messa in una zucca secca che funge da tazza secondo una serie di regole precise quanto arbitrarie. nell'erba viene messa la bombilla, una cannuccia di metallo con un filtro all'estremità immersa (e se no vi ingollate le foglie!). La zucca viene riempita d'acqua calda che viene bevuta tutta da uno dei presenti il quale riempie nuovamente il mate prima di porgerlo al bevitore seguente. E' un rituale sociale, è come fumare il calumet della pace, come invitare qualcuno a mangiare insieme, come far girare una canna (presumo).

Quand'ero in università avevo un compagno di laboratorio venuto in prestito dalla Francia. Dico in prestito perchè di laboratori in cui si facesse ricerca sulla chimica supramolecolare nel 2006 ce n'erano ancora pochi e la collaborazione era molto stretta. Avere un dottorando proveniente dal laboratorio di sua altezza Jean-Marie Lehn in altri ambienti sarebbe statoun segno di prestigio clamoroso. Nella branca più elitaria e nerdistica della chimica (almeno tra quelle che quanto meno non andassero a scomodare la matematica ad ogni piè sospinto) questo senso di glamour andava scemando dopo i primi 5 minuti a favore di un febbrile vampirismo del sapere. A dire il vero la sacralità della cosa ha cessato di esistere in un momento ben preciso, ovvero quando il capo del dipartimento, avendo saputo che il nuovo arrivato non era in possesso di una bicicletta, pensò di accompagnarlo a rubarne una in stazione (ovviamente era uno scherzo!). Il momento in cui il giovane e perplesso ricercatore uscì con il vecchio professore che portava in spalla un grosso tronchese o tranciabulloni: è stato quello il momento.

Cosa c'entra tutto questo con la yerba mate? beh, è stato quel dottorando a farmela provare perla prima volta. In Italia era pressochè impossibile procurarsela all'epoca, secondo alcuni persino illegale. Era il rito pomeridiano invernale, bere il mate delle 5 tutti insieme mentre si rimettevano a posto i dati. Ed era stata un'abitudine introdotta con ottimo tempismo, visto che la ritualità estiva prevedeva una birra sul tetto del dipartimento facendo un breefing dei lavori in corso mentre lanciavamo palline di sodio metallico in un secchio pieno d'acqua (per chi non lo sapesse il sodio metallico in acqua ha una violenta reazione esotermica...??...esplode, santi Dei! :P la prassi per smaltire il sodio metallico usato nelle reazioni come disidratante è proprio questa, far esplodere i pezzetti uno ad uno in acqua).
Mate e bombilla del mio primo ospite a Buenos Aires

Fare il Mate è una cosa che mi rilassa tantissimo. Faccio bollire l'acqua, la metto nel mio thermos e vado avanti a oltranza. Sì, proprio adesso ho qui il mio mate, quello che ho comprato a Buenos Aires il primo giorno, anche se la sua bombilla originale è affondata con una nave dal Giappone...lunga storia...

Ho dei bellissimi ricordi legati al Mate: Carlos di Ushuaia che mi ha insegnato a farlo decentemente ed Ivàn di El Calafate che mi ha fatto i complimenti per come lo facevo...aveva un bollitore elettrico con la temperatura precisa che dovrebbe avere l'acqua (75-80°C). Poi ricordo una chiacchierata notturna con il receptionist 19enne di un ostello in mezzo alla foresta amazzonica a bere tererè (al posto dell'acqua calda c'è succo di pompelmo rosa ghiacciato, dopotutto ci sono 30°C anche di notte lì!). Ricordo una ragazza olandese alle Torres del Paine che mi chiamava Navy seal e che dicevache per lei era come leccare un posacenere, nè più e ne meno. Ricordo un sacchetto di "Brigante" come il fatto che a Wilma piacesse la "Rosamonte suave" e che non bevesse mai per prima per non bere la parte amara. Ricordo soprattutto Juan a Santiago che aveva un borsellino con dentro un minithermos, bicchiere di legno,bombilla e scatoletta con l'erba. Abbiamo bevuto mate sulle scale della fermata della metropolitana mentre cercava di insegnarmi come si chiamava la scacchiera in spagnolo (ajedrez, l'ho dovuto scrivere su una mano per una settimana ma alla fine l'ho imparato!) ed ancora aspetto che mi spieghi come "curare" il mate di legno aromatico che abbiamo comprato insieme.
 Ora ogni volta che vedo un argentino che  porge un Mate al papa sorrido e condivido la mia erba con i miei amici e parliamo parliamo...

Ci sarebbero ancora mille cose da dire sul Mate, sui modi di prepararlo, sulle marche di erba in giro per il sudamerica, sullo zucchero, sugli effetti sulla salute, ma tutte queste parole non servirebbero a far capire l'emozione placida che mi da, mi fa sentire ancora in viaggio, mi scalda il cuore come il sorriso negli occhi delle persone a cui ho passato la zucca, dopo averla riempita per loro.
 



Cile: la calamita
Ero a Conception, Viviana voleva portare la sua amica Carolin (che insegna tedesco in Cile ed è la ragazza di Juan di Santiago, quello del Mate sulle scale della stazione) a fare una lezione di Zumba. Io ne avrei approfittato per andare in sala pesi. Ricordo che quella è stata la volta che ho sollevato più pesi in vita mia (75kg in chest press, mica 200, ma ero incredulo!) Quella sera il mio ginocchio ha presentato il conto e da lì ho smesso di fare il cretino coi pesi.
Conception - Fregio della conoscenza

In quel periodo andavo in giro col portafogli legato alla cintura con una catena per paura dei furti. Nel sedermi sull'autobus la catena scivola tra i sedili e sento una strana resistenza. Quando la tiro fuori trovo attaccata una calamita Geomag. Mi fa subito tenerezza, la lascio attaccata alla catenella. Ho pensato: ha solo chiesto un passaggio, quando vorrà scendere si attaccherà a qualcos'altro.
E' rimasta con me fino alla fine, ho anche avuto una mezza crisi di malinconia quando credevo di averla persa un giorno in Giappone, ma era ancora lì con me...lo so che sono strano, ma io già do un'anima alle cose normalmente, quando scelgo un oggetto come compagno di viaggio diventa uno dei miei molti Wilson.

Corea: Tour Eiffel
Entro in una stanza in cui con una serie di tende è stato ricavato un labirinto. Il pavimento è di terra, fa caldo, ci saranno 35 gradi e sento le ragazze giapponesi che ho incontrato all'entrata scherzare tra loro. E' un caldo pomeriggio di fine Maggio sulle colline intorno a Busan, seconda città della Corea. Sono arrivato via nave da Fukuoka solo ieri ed ho pernottato in una guest house in cui tutte le camere sono puccettose e bambolose: lenzuola con i cuoricini, carta da parati rosa, un nido d'amore gay strabordante di clichè. Ma il ragazzo che ha messo in piedi l'ostello è adorabile, ha solo dei gusti estetici agghiaccianti e sua moglie non dev'essere da meno ed il bibim bap di pesce crudo e verdure fresche del ristorante di fronte merita applausi.
Ripenso alla salita fino a quella casa nel coloratissimo quartiere degli artisti, alle statue del piccolo Principe e della Volpe che guardano il panorama quando noto per terra una piccol atour Eiffel dorata e qui si innesca uno di quei flash back che tolgono il fiato.

Era il dicembre del 1993, ho12 anni e sono su un taxi che sta frenando violentemente davanti alle partenze dell'aeroporto di Catania, proprio dove c'erano i cactus dell'Arizona con che avevo salutato decine di volte, 15 anni prima che venissero fatti i tanto sospirati lavori di restauro che togliessero quell'indecoroso look primi anni '80 all'aeroporto...oggi sarebbe uno stilosissimo vintage.
E' il giorno che partiamo per prima volta per la Nigeria, siamo in un ritardo folle a causa del traffico e dei lunghi saluti. Quella mattina la mia nonna, già malferma per il Parkinson, aveva preso per la prima volta l'elegante bastone che le avevano regalato pochi giorni prima per Natale e si era messa la pelliccia. Aveva arrancato con dignità fino a casa nostra alle 5 di mattina, erano poche centinaia di metri ma quando la vedemmo ci sembrava una visione impossibile, come se avesse attraversato il Kalahari in monociclo. Fu l'ultima volta che la vidi camminare da sola.
L'immagine mi era rimasta negli occhi durante tutto il tragitto, mantre la Mercedes del signor Adragna (tassista di fiducia di papà) scivolava morbida e silenziosa nell'alba tra gli aranceti di Augusta. Poi il traffico e la corsa in aeroporto.
La frenata che spezza il sogno: "Tutti giù, presto!"
E nello scendere il piccolo portachiavi dorato a forma di tour Eiffel che avevo attaccata al portafogli si incastra. Ma la fretta è troppa, l'anellino di latta si apre e la torre cade tra i sedili. Non c'è tempo di cercare, non c'è tempo di protestare, l'aereo sta partendo.
E per anni sono rimasto col groppo in gola ripensando a quella piccola tour Eiffel lasciata nella
macchina di qualcuno che non avrebbe avuto alcun sentimento verso di lei. L'avevo comprata a Parigi qualche anno prima e l'avevo tenuta da conto...andata...

Mi sveglio dal flash back e guardo la torre tra le dita. Sono passati quasi vent'anni, e sei tornata da me. Questa volta starò più attento

Metto la mia torre dorata in tasca ed esco dal labirinto nella luce abbagliate del pomeriggio




Seguiranno:


Bolivia: portamonete di pelo di lama
NZ: tatuaggio
Australia:Cappello di canguro ed abbandono dell'altro cappello
Giappone: gru di carta, biglietto del baseball e candela di Yokohama
Corea: pantaloni di Golgulsa
Indonesia: brevetti 20'000 leghe sotto i mari
Vietnam: cicatrici e cacca di faina
Cambogia: sciarpa seta
Laos: chiavi del motorino e disegni cesellati su carta di riso
Malesia: five fingers "replicas" e colloqui con Greenpeace
Nepal: Kukri, arrivare in vetta ed il paragliding come alternativa per una bella discesa
Filippine: cappello da rapper pieno di dolcezza ed abrasioni da  surf ai capezzoli
Hong kong: nostalgia

giovedì 7 agosto 2014

Project management di viaggio

Un progetto di viaggio di solito prende la forma di uno zibaldone. Si raccolgono idee, suggerimenti, si legge di posti, di cose da fare, di avventure di altri viaggiatori e tutto finisce dentro quel quaderno immaginario che molto presto finisce col somigliare ad un libro di ricette personale. Lo avete presente tutti il libro di ricette della mamma: un quaderno o un’agenda rigonfia di bigliettini scritti da persone diverse con le ricette, calligrafie illeggibili, carta che nei decenni si sbriciola, manoscritti apocrifi dalla provenienza misteriosa…

In realtà tutto questo è molto romantico, è parte dello spirito del viaggio, perchè una volta tornati tutta l’esperienza somiglierà molto ad uno di questi libri, con i ricordi scritti da molte mani, spesso confusi ed in disordine.
Di fatto l’approccio zibaldonesco alla progettazione di un viaggio è possibile solo per viaggi molto brevi o se nel vostro progetto è preventivata una buona quota di “tempo buttato”. Niente di male nel perdere del tempo, c’è chi viaggia per vedere e fare esperienze, chi parte per non avere vincoli ed avere a disposizione del tempo da buttare, è uno di quei lussi che voi avete conquistato a prezzo dell’incertezza del vostro futuro ma che chiunque a casa vi invidierà fino a mangiarsi le nocche.
Se però volete essere viaggiatori efficienti dovete programmare, dare delle priorità, analizzare i rischi e dargli una dimensione reale in base a regole precise. “Che palle” è la reazione umana più naturale e statisticamente schiacciante a questa affermazione, come quando ti dicono che per avere il fisico di Roberto Bolle tocca faticare: che palle.


Essere un intimamente nerd mi ha aiutato non poco...avendo studiato project management non ho resistito alla tentazione di rendere scientifico il processo di elaborazione. Ora vi farò un esempio di come è possibile trasformare qualcosa di vincolato all’ambiente lavorativo corporate in uno strumento per spiccare un salto molto molto più lontano proprio dalle realtà in cui questo sistema è nato. In parte trovo affascinante l’ironia della cosa, credo, in parte è oggettivamente uno strumento potentissimo...nella realtà utilizzare qualsiasi cosa abbia a che fare con la scienza e sia ostico per i più per governare il regno dell’incertezza è una tantazione irresistibile. Come elaborare algoritmi per prevedere le probabilità di successo di uno scontro tra unità di un wargame; anche se ha un’applicabilità risicata la sola espresssione di chi si trova davanti un foglio excell grande come una scrivania e pieno di piramidi di numeri è impagabile almeno quanto è inutile lo sbattone che serve a produrre quei dati.


Ho deciso che posso iniziare almeno a buttare giù una traccia per quel progettino di “Manuale di viaggio” che scriverò per divertimento. Così, giusto perchè in questo periodo vivo di project management, risk assessment, bigger sbattment e people compiàchment.
Un altro buon proposito che vola verso l’oblio? Le idee ci sono, ne arriveranno altre e forse, come successo per gran parte dei miei progetti, diventerà un dinosauro che ingrassa ed è sempre più difficile da spostare (perchè proprio un dinosauro?!) o una mandria ingovernabile a cui si aggiungono bestie strane...ecco, l’arca di Noè in una commedia yiddish!
Non ho nemmeno deciso che taglio dargli, quante delle mie esperienze raccontare, verrà tutto fuori un po’ seguii penis modo


Fase0!
-Obiettivo generale del progetto
-Suddividere: cosa sono la  Fase1 e la Fase2
-Location, location, location


Fase1
-Stakeholders:Entità coinvolte e ruoli
-Cum grano salis: rastrellamento delle informazioni
-Tempi e budget
-Work Packages (WP), deliverables (D) e milestones (M)
-Il signor Gant
-Si vis pacem para bellum, ovvero “Il risk assessment e la legge di Murphy”
- Salute, truffe, burocrazia, cataclismi e bed bugs
-Revisioni al progetto: Keep calm and...wtf!!!
-Lista della spesa: approcci,
-Gestire attivamente il progetto


Fase2
-Partenza
-Flessibilità: ciò che rende un viaggio differente da un lavoro
-Gestione: perchè un viaggio smette presto di essere una vacanza
-Rendicontazione: suggerimenti per non restare a secco
-Trappole e pregiudizi: gestire i problemi in viaggio
-Cucirsi il viaggio addosso: strategia del viaggiare (compagni, approccio, indole)
-Salute in viaggio
-Trasporti estremi
-Sistemazioni estreme
-Etichetta da ostello
-Stick together: condividere trasferimenti, esperienze, informazioni e sopravvivere insieme
-Sopravvivere agli altri viaggiatori
-Sopravvivere a se stessi
-Come cambia la percezione del viaggio col passare delle settimane


Fase3
-Eh già, tocca tornare: preparazione psicologica
-Effetto rimbalzo
-E adesso? Ricominciare ad avere una vita normale
-Cosa siamo diventati?
-Recidività: tanto lo sai che prima o poi ci ricascherai